Vendite online: serve davvero la partita Iva?
Vendere, affittare e condividere beni (abitazioni, attrezzi, ecc.) o servizi (carpooling) tra individui tramite Internet, da quest’anno, devono essere tracciati e, se superano determinate quote, vanno regolarmente dichiarate al Fisco. Non solo: superando certe soglie, queste operazioni si configurano come attività professionale e, di conseguenza, richiedono l’apertura di una partita Iva.
L’epoca dei guadagni online esentasse, insomma, è finita: i siti online sono tenuti a fornire ai propri utenti informazioni chiare e trasparenti sui loro obblighi. In concreto, questi portali detengono collegamenti elettronici che indirizzano i dati degli utenti al sito dell’Agenzia delle Entrate. Le informazioni riguardano persone che risiedono in Italia o che vi effettuano vendite o prestano servizi. Ai controlli ci penserà il fisco.
Vendite online: gli effetti della DAC7
La norma si chiama DAC7, acronimo di direttiva sulla cooperazione amministrativa. Già il nome è tutto un programma: Dac7 è la sigla della norma comunitaria n. 2021/514, che si pone l’ambizioso obiettivo di recuperare circa 30 miliardi di euro di entrate, tracciando (e, dunque, tassando) le transazioni realizzate in rete dagli italiani. La misura è, in realtà, di respiro internazionale. Il parlamento europeo, a Bruxelles l’aveva approvata oltre due anni fa, ma tra iter parlamentari e lungaggini burocratiche la disposizione è stata recepita in Italia solo il 23 febbraio 2023 e adesso, praticamente è legge. Sebbene approvata in ritardo, però, la DAC7 è stata dichiarata operativa con effetto retroattivo, dall’1 gennaio 2023. Le dichiarazioni dovranno, quindi, pervenire al Fisco entro il 31 gennaio 2024.
La DAC7 regolamenta, di fatto, i guadagni online: i dati di chiunque effettui più di 30 transazioni o che accumuli guadagni per più di 2.000 euro, verranno inviati all’Agenzia delle Entrate.
Vendite online: quando serve la partita IVA
La DAC7, oltre a tassare i guadagni realizzati in rete dagli italiani, introduce anche un altro obbligo: oltre le soglie stabilite dalla norma, le attività non possono più essere intese come occasionali, ma si configurano come una vera e propria attività. La norma, insomma, opera una distinzione netta tra chi vende per hobby e chi, invece, lo fa per professione. Di conseguenza, obbliga questi secondi soggetti ad aprire la partita IVA (anche se sono persone fisiche e non aziende).
L’attività di monitoraggio fiscale introdotta dalla DAC7 è del tutto automatica: le piattaforme online (Ebay, Subito o Airbnb), sono tenute a registrarsi (in qualche modo, quindi, di accreditarsi come responsabili della raccolta dei dati dei propri iscritti) sul portale dell’Agenzia delle Entrate e a collezionare gli estremi degli utenti. In particolare:
• Nome e cognome
• copia e numero di un documento di riconoscimento
• luogo e data di nascita
• luogo di residenza
• codice fiscale
• NIF, ovvero numero di identificazione fiscale.
Tutti questi dati dovranno essere inseriti già in fase di registrazione o aggiunti, nel caso in cui si tratti di utenti già registrati.
Una volta raggiunto il tetto delle 30 operazioni, o la soglia dei 2.000 euro di incassi, piattaforme e marketplace ne invieranno automaticamente (e obbligatoriamente) comunicazione al Fisco. Non sarà necessario, invece, avvertire l’utente che avrà preventivamente letto e accettato le condizioni di vendita. I portali, inoltre, devono allegare alla documentazione anche un dettaglio delle transazioni che evidenzi la presenza di eventuali commissioni, per definire i guadagni netti.
Multe salatissime per chi non si adegua
Non ottemperare è praticamente improbabile e, oltretutto, dà luogo a sanzioni salatissime, che vanno da 3.000 a oltre 30.000 euro. In caso di insolvenza, l’Agenzia delle Entrate invierà due avvisi e, se il conto non sarà saldato, imporrà ai gestori dei siti online di chiudere il profilo degli utenti o di convogliare i ricavi delle vendite al Fisco fino alla copertura totale del debito.